Patrizia Cavalli
Dolcissimo è rimanere
e guardare nella immobilità
sovrana la bellezza di una parete
dove il filo della luce e la lampada
esistono da sempre
a garantire la loro permanenza.
Montagna di luce ventaglio,
paesaggi paesaggi! Come potrò
sciogliere i miei piedi, come
discendere – regina delle rupi
e degli abissi – al passo involontario,
alla mano che apre una porta, alla voce
che chiede dove andrò a mangiare?
*
Essere testimoni di se stessi
sempre in propria compagnia
mai lasciati soli in leggerezza
doversi ascoltare sempre
in ogni avvenimento fisico chimico
mentale, è questa la grande prova
l’espiazione, è questo il male.
*
Pure scoprendo che quello che vedevo,
e lo vedevo in te amore amato,
in verità non c’è, non c’è mai stato,
forse per questo è meno vero? No,
continua ad esser vero, e non perché
così mi era sembrato, non si tratta
di soggettività. Nessuno infatti
avrebbe in sé alcuna qualità
se non fosse per quel sentire che spinge
a concepire mischiandosi all’oggetto
un pensiero commosso per cui la nostra mente
intenerita fa che la morte venga differita,
almeno un po’, giocando a questo
o a quello, prestando al giocatore
opaco il suo fervore, anche inventato.
P. Cavalli, Il mio felice niente 1974-2020, Einaudi 2024. A cura di Emanuele Dattilo.