Andrej Belyj
1
Misteri profondi giacciono nella lingua: nel tuono dei suoni ci sono i significati di un’enorme parola; ma i tuoni dei suoni e i lampi istantanei dei significati sono celati da una nuvola metaforica, che da se stessa versa nelle onde del tempo le linee dei concetti non espressi. E come per noi l’acquazzone, i tuoni e le nuvole non hanno nessuna analogia, così non la hanno neanche i significati dei suoni e le immagini della parola; si differenzia da loro l’arido, piatto significato concettuale.
Cos’è la terra? È lava; una fiamma ha forgiato solo la crosta dei cristalli (delle pietre); e i mormorii della lava battono nei crateri dei vulcani; e lo strato superiore – della terra – è molto sottile; è ricoperto di erba.
Così è anche la parola, che è la tempesta dei ritmi fusi del significato sonante; questi ritmi sono forgiati dalla massa delle radici silicee; il significato focoso è nascosto; lo strato superiore è la parola-immagine (la metafora); il suo suono, come ci dice la storia della lingua, è solo la combinazione di suoni disgiunti e corrosi; e l’immagine è il processo di distruzione del suono; e i significati di una parola abituale – erba! – iniziano a crescere da esso. In tal modo: la caduta della purezza fonetica è lo sviluppo dello sfarzo dialettico; e la caduta dello sfarzo è il termine, è l’autunno del pensiero.
La fiamma impetuosa, il granito, l’argilla e le erbe non hanno nessuna analogia; nessuna analogia; per noi non hanno nessuna analogia i significati: dei concetti, delle metafore, delle radici e dei movimenti del flusso dell’aria, che costruisce i suoni nel Cosmo gigantesco (nella cavità della bocca).
2
Un tempo non c’erano piante, né “Terre”, non c’erano silici né graniti; c’era qualcosa di fiammeggiante; si spiegavano nel Cosmo le pale di un gas volante; la terra gorgogliava come un fiore infuocato; essa si sviluppava e confluiva dalla sfera Cosmica; e questi gesti dei fuochi poi ripetevano se stessi: nei petali dei fiori; e perciò la luce cosmica è il fiore dei campi; tutti i fiori sono evocazioni dei fuochi della sconfinata sfera del cosmo; tutte le parole sono evocazioni del suono di un significato antico.
Un tempo nel nostro senso non c’erano concetti: la crosta concettuale ha circondato l’immagine della parola; un tempo non c’era neanche l’immagine della parola: le immagini hanno rivestito più tardi la radice informe; prima la radice non c’era, tutte le radici erano pelli di serpente; e il serpente vivo è la lingua; un tempo quel serpente erano i flussi e il palato era la vela dei ritmi portanti; il cosmo, indurendosi, divenne la cavità della bocca; il flusso dell’aria – questa ballerina del mondo – è la nostra lingua.
Prima dei suoni distinti la lingua saltava, come una ballerina, nella sua sfera chiusa. Tutte le sue posizioni, piegamenti, sfioramenti del palato e i suoi giochi con il flusso dell’aria (espirato da un fuoco interiore) hanno composto nel tempo segni sonori – “spiranti”, “sonanti”: si sono compattati nelle consonanti; e hanno depositato distese di “esplosive”: sorde (p, t, k) e sonore (b, d, g),
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A. Belyj, Glossolalia. Poema sul suono, Medusa 2006. Traduzione e cura di Giuseppina Giuliano.