L’anima viaggia sul profumo, di Giuseppe Zuccarino
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Da giovane, Charles Baudelaire era rimasto molto impressionato dalla lettura delle opere di Hoffmann, a cui fa più volte riferimento nei suoi scritti. Lo aveva colpito, in particolare, un passo dei Kreisleriana nel quale si legge: «Non tanto in sogno, quanto nello stato di dormiveglia sognante che precede il sonno (specialmente quando ho sentito molta musica), trovo una concordanza fra colori, suoni, profumi; è come se le tre cose venissero prodotte insieme, nello stesso misterioso modo, da un raggio di luce, per poi fondersi in un meraviglioso concerto. L’aroma del garofano rosso scuro esercita su di me una singolarissima malìa; senza avvedermene cado in uno stato onirico, e sento giungere come di lontano le sonorità calde, piene, sontuose, e poi di nuovo evanescenti, del corno di bassetto» [1]. Baudelaire lo cita nel Salon de 1846, dicendo di riconoscersi in esso, in quanto – così sostiene – «esprime perfettamente la mia idea» [2]. Tale idea verrà ripresa, ed enunciata in maniera lapidaria, in uno dei componimenti più famosi di Les Fleurs du Mal, ossia Correspondances: «I profumi, i colori e i suoni si rispondono» [3].
La corrispondenza fra le sensazioni percepite dai diversi sensi corporei presuppone a sua volta una dottrina ancor più vasta e complessa, quella dell’analogia universale. Come osserva Roberto Calasso, si tratta di una concezione che Baudelaire «avrebbe potuto trovare in Ficino o in Bruno, in Paracelso o in Böhme, in Kircher o in Fludd. O anche, in anni più recenti, in Baader o in Goethe» [4]. In effetti, però, il poeta l’ha incontrata in due autori piuttosto eccentrici, l’utopista Charles Fourier e il mistico Emanuel Swedenborg: «Fourier è venuto un giorno, troppo pomposamente, a rivelarci i misteri dell’analogia. Non nego il valore di alcune delle sue minuziose scoperte, benché io creda che il suo cervello fosse troppo preso dall’esattezza materiale per non commettere errori e per raggiungere senza difficoltà la certezza morale dell’intuizione. […] Swedenborg, la cui anima era ben più grande, ci aveva già insegnato che il cielo è un uomo grandissimo; che tutto, forma, movimento, numero, colore, profumo, nell’ambito spirituale come in quello naturale, è significativo, reciproco, vicendevole, corrispondente» [5].
Tuttavia Baudelaire ritiene che, per quanto le indicazioni fornite da questi due pensatori risultino per qualche aspetto suggestive, non vi sia modo di seguirle alla lettera. Infatti, a suo giudizio, non spetta ai teorici dettar legge in questo campo, bensì ai poeti: «Da molto tempo affermo che il poeta è supremamente intelligente, […] e che l’immaginazione è la più scientifica delle facoltà, poiché solo essa concepisce l’analogia universale, ovvero ciò che una religione mistica chiama la corrispondenza» [6]. Ne consegue che «nei poeti eccellenti, non c’è metafora, comparazione o epiteto che non sia di un’adattabilità matematicamente esatta alla circostanza in atto, perché quelle comparazioni, quelle metafore e quegli epiteti sono attinti dall’inesauribile fondo dell’universale analogia» [7]. Alla poesia viene dunque associata una componente mistica, accessibile però solo a coloro che sanno praticare l’arte dei versi in maniera eccelsa. Per Baudelaire, è questo il caso di Théophile Gautier. Se si considera che Gautier possiede «un’immensa intelligenza innata della corrispondenza e del simbolismo universali, quel repertorio di ogni metafora, si capirà come egli possa di continuo, senza fatica e senza errori, definire l’attitudine misteriosa che gli oggetti della creazione assumono di fronte allo sguardo dell’uomo. C’è nella parola, nel verbo, qualcosa di sacro che ci proibisce di fare di essa un semplice gioco del caso. Maneggiare sapientemente una lingua vuol dire praticare una sorta di stregoneria evocatoria» [8].
Possiamo tornare ora alla poesia Correspondances e al verso già citato: «I profumi, i colori e i suoni si rispondono». Non è un caso se i profumi vengono indicati prima dei colori e dei suoni: infatti è proprio ad essi che Baudelaire affida il compito di esemplificare il meccanismo delle corrispondenze. Ciò accade nelle due terzine del sonetto: «Ci sono profumi freschi come carni infantili, / dolci come oboe, verdi come prati, / – e altri corrotti, ricchi e trionfanti, // che hanno l’espansione delle cose infinite, / come l’ambra, il muschio, il benzoino e l’incenso / che cantano gli slanci dello spirito e dei sensi» [9]. Qui si assiste dunque a una spiccata valorizzazione dell’olfatto, considerato di norma come un senso inferiore, perché più «animale», rispetto alla vista e all’udito. Già questo ci fa comprendere che, se mistica c’è nelle corrispondenze baudelairiane, essa non è mai disgiunta dall’apporto dei sensi e della corporeità. Non è un caso che, nei versi citati, l’attenzione del poeta si soffermi maggiormente sui profumi «corrotti» che su quelli «innocenti». Come osserva Jean-Pierre Richard, la corruzione si colloca «in un clima di lusso e di trionfo. I profumi corrotti saranno anche i più ricchi, i più trionfanti, i più suscettibili di indurre lo spirito e i sensi a “slanci infiniti”. Meglio dei “profumi freschi”, sapranno disintegrarsi e conquistare lo spazio» [10]. Occorre inoltre far notare che, tra i «profumi corrotti», viene annoverato l’incenso, associato di solito alle cerimonie religiose, in special modo cristiane. È un altro chiaro segno dell’intento, da parte del poeta, di equiparare, almeno in parte, gli slanci spirituali e quelli sensuali.
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Nel 1841, per cercare di porre un freno all’esistenza dissipata che il ventenne Baudelaire sta conducendo, e alle spese folli che essa comporta, la sua famiglia (in particolare il patrigno, il generale Aupick), decide che una maniera efficace per allontanare il giovane dalle cattive compagnie, e farlo maturare tramite nuove esperienze, può essere quella di fargli compiere un lungo viaggio in Oriente. Perciò, nel giugno di quell’anno, Baudelaire si imbarca su una nave, il Paquebot-des-Mers-du-Sud, diretta a Calcutta. Tuttavia non arriva a destinazione, fermandosi prima, in un’isola dell’Oceano Indiano che allora si chiamava Bourbon e oggi La Réunion. Giuntovi il 18 settembre, si rifiuta di proseguire e il 4 novembre si imbarca sul mercantile Alcide per il viaggio di ritorno, che lo riporterà in Francia nel febbraio dell’anno successivo [11]. Questo periodo di nove mesi ha avuto un grande influsso sulla formazione dell’immaginario di Baudelaire. Anzi, egli ha avvertito il bisogno di creare in proposito una sorta di leggenda. Ad esempio, negli appunti per una nota autobiografica, parla di «viaggi in India […] (Mauritius, isola Bourbon, Malabar, Ceylon, Indostan, il Capo […])» [12], mentre in realtà ha sostato solo pochi giorni al Capo di Buona Speranza e non ha mai visitato Malabar, Ceylon o l’Indostan. Anche nelle lettere gli capiterà di scrivere di aver «fatto conoscenza con l’oppio in India», oppure di essersi familiarizzato col mare e il cielo «a Bourbon, a Mauritius, a Calcutta» [13].
Tale leggenda verrà creduta vera e divulgata anche dai suoi amici. Ci interessa in particolare il fatto che essi correleranno il viaggio giovanile del poeta al suo gusto per i profumi. Così Charles Asselineau scrive: «Aveva viaggiato lontano, in quelle regioni dell’India il cui paesaggio e il cui profumo ossessionavano la sua memoria» [14]. Théophile Gautier, a sua volta, sostiene che Baudelaire «aveva viaggiato per lungo tempo in India», dove aveva potuto ammirare «quella magnifica e gigantesca vegetazione dai profumi penetranti, quelle pagode di un’elegante bizzarria, quelle figure brune dai drappeggiamenti bianchi, tutta quella natura esotica, così calda, così potente e colorata, e nei suoi versi, frequenti ritorni lo riportano, dai fanghi e dalle nebbie di Parigi, verso quelle contrade di luce, d’azzurro e di profumi» [15].
Certo, il soggiorno in India non è mai avvenuto, ma l’esperienza dei paesi esotici è stata comunque cruciale per Baudelaire. Il poeta stesso ne ha spiegato le ragioni, parlando di sé in maniera impersonale: «Se […] prendo un uomo di mondo, un soggetto intelligente, e lo trasporto in una terra lontana, sono sicuro che, per grande che sia lo stupore allo sbarco, e lunga e faticosa l’assuefazione, la simpatia si farà prima o poi così viva, così penetrante, da suscitare in lui un nuovo mondo di idee, che poi costituirà parte integrante del suo io, accompagnandolo, sotto forma di reminiscenze, fino alla morte. […] Quei vegetali inquietanti per la sua memoria satura di ricordi nativi, quelle donne e quegli uomini, i cui muscoli non vibrano secondo la disposizione classica del suo paese, la cui andatura non ha la cadenza di un ritmo noto, il cui sguardo non si irraggia con lo stesso magnetismo, quegli odori che non sono più quelli del salottino materno, quei fiori misteriosi di un colore profondo […], tutto quel mondo di armonie nuove entrerà a poco a poco in lui, lo penetrerà via via, come il vapore di una stufa carica di aromi» [16].
Nelle poesie di Baudelaire, sia in versi che in prosa, evocazioni del genere sono frequenti, benché in esse i ricordi effettivi si mescolino a scene che sono soltanto sognate. A queste ultime appartiene ad esempio un componimento delle Fleurs du Mal in cui l’autore immagina di essere stato, in un’esistenza precedente, un gran signore o un sovrano in terre esotiche: «Laggiù ho vissuto nelle voluttà calme, / circondato d’azzurro, di onde, di splendori, / e di schiavi nudi tutti intrisi d’odori // che mi rinfrescavano la fronte con le palme» [17]. Altre volte, invece, l’immagine dell’arrivo in nave può risentire della memoria del viaggio: «Infine fu segnalata una riva, e vedemmo, accostandoci, che era una terra magnifica, abbagliante. Sembrava che da essa si staccassero, in un vago mormorio, le musiche della vita, e che da quelle coste, ricche di vegetazione di ogni genere, si esalasse, per leghe intere, un delizioso odore di fiori e di frutti. […] Era una terra ricca e magnifica, piena di promesse, che ci inviava un misterioso profumo di rose e di muschio» [18]. I luoghi visitati si configurano dunque, nel ricordo e nell’immaginazione, come una «terra profumata che il sole accarezza» [19]. In quanto tale, essa non può che suscitare nostalgia: «Come sei lontano, paradiso profumato, / dove sotto l’azzurro tutto è gioia e amore, / dove ciò che amiamo è degno di essere amato / e nella pura delizia s’immerge il nostro cuore!» [20].
È proprio lì che si vorrebbe abitare, assieme alla donna prediletta: «In riva al mare, una bella capanna di legno, avvolta da tutti quegli alberi bizzarri e lucenti di cui ho dimenticato i nomi…, nell’aria, un profumo inebriante, indefinibile…, nella capanna, un aroma possente di rose e di muschio…, più lontano, dietro il nostro piccolo possedimento, cime d’alberi di navi dondolate dalla risacca…, intorno a noi, al di là della camera rischiarata da una luce rosa che filtra dalle tende, abbellita da stuoie fresche e da fiori che danno alla testa, con rare sedie di un rococò portoghese, di legno pesante e tenebroso (sulle quali lei riposerebbe così quieta, così ben ventilata, fumando un tabacco leggermente oppiato), oltre la veranda, lo schiamazzo degli uccelli ebbri di luce e il chiacchierio delle negrette» [21].
Un altro dei luoghi sognati da Baudelaire, ma mai visitati, è l’Olanda. In un componimento di Le Spleen de Paris, rivolgendosi a se stesso, il poeta dichiara: «Visto che ami tanto la quiete, assieme allo spettacolo del movimento, perché non vieni a vivere in Olanda, terra di beatitudini? Forse ti divagherai, in quella contrada di cui spesso hai ammirato l’immagine nei musei» [22]. Tale fantasia viene sviluppata in un altro poème en prose della raccolta, L’Invitation au voyage, dove l’Olanda, non esplicitamente nominata, viene vista come «un paese singolare, annegato nelle brume del nostro Nord: potremmo chiamarlo l’Oriente dell’Occidente, la Cina dell’Europa» [23]. Stavolta il poeta immagina anche come potrebbe configurarsi l’interno di una casa: «I mobili sono vasti, curiosi, bizzarri, protetti da serrature e congegni segreti come le persone di animo raffinato. Gli specchi, i metalli, i tessuti, l’oreficeria e le ceramiche suonano per gli occhi una sinfonia muta, misteriosa; e da tutto, da ogni angolo, dalle fessure dei cassetti e dalle pieghe delle stoffe si esala un aroma singolare, un ricordo di Sumatra, che è come l’anima dell’appartamento» [24].
La dimora ideale, ovunque l’immaginazione del poeta decida di collocarla a seconda delle circostanze, non può mai essere disgiunta dall’idea degli aromi che la attraversano. Questo perché il profumo dispone di grandi poteri: con «la fluidità delle sue mescolanze, e talvolta l’estrema tenuità delle sue suggestioni più ricche, confonde in un’unica nube l’interno e l’esterno, il vicino e il lontano, l’istante presente e il ricordo» [25].
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Nel Don Giovanni di Da Ponte e Mozart, a un certo punto il protagonista, mentre sta parlando col proprio servo Leporello, si interrompe dicendo: «Zitto: mi pare / Sentir odor di femmina…». Il servo, al tempo stesso ironico e ammirato, commenta: «Cospetto! / Che odorato perfetto!» [26]. Un’analoga sensibilità al profumo femminile rientra fra le caratteristiche di Baudelaire. Egli soffre perciò quando viene dipinto dai suoi avversari come se fosse l’esatto contrario di un uomo di mondo, e si allieta quando legge, in un articolo del celebre critico Sainte-Beuve, la precisazione seguente: «È certo che Baudelaire ci guadagna a essere visto di persona, perché, mentre ci si aspettava di veder entrare un uomo strano, eccentrico, ci si trova in presenza […] di un giovane gentile, dal linguaggio fine e del tutto classico nelle forme» [27]. Anche se, come elogio di un grande poeta, la frase risulta mediocre e fuori luogo, essa riesce gradita all’interessato, il quale risponde in questi termini: «Ero molto ferito (ma non dicevo niente) di sentirmi trattare da parecchi anni come se fossi un lupo mannaro, un uomo impossibile e scontroso. Una volta, in un giornale ostile, avevo letto alcune righe sulla mia repulsiva bruttezza, capace di allontanare ogni simpatia (era duro, per un uomo che ha tanto amato il profumo della donna)» [28].
Egli ritiene di aver sviluppato tale orientamento fin dalla prima infanzia: «Il gusto precoce per le donne. Confondevo l’odore della pelliccia con quello della donna» [29]. Sostiene inoltre che non è in causa una peculiarità soltanto sua, ma dei bambini che sono stati allevati fra presenze femminili, cosa che talora comporta notevoli vantaggi sul piano intellettuale: «L’essere cullati dalle balie, i vezzeggiamenti materni, le moine delle sorelle […], trasformano, per così dire, ammorbidendola, la pasta maschile. L’uomo che fin dall’inizio è stato immerso nella molle atmosfera della donna, nell’odore delle sue mani, del suo seno, delle sue ginocchia, dei suoi capelli, delle sue vesti soffici e ondeggianti, […] ha assunto una delicatezza di epidermide e una distinzione d’accento, una specie di androginia, senza cui il genio più aspro e virile resta, dal punto di vista della perfezione artistica, un essere incompleto. Infine voglio dire che il gusto precoce del mondo femminile, mundi muliebris, di tutto quell’apparato ondeggiante, scintillante e profumato, produce i geni superiori» [30].
L’attrazione suscitata in Baudelaire dal corpo della donna rappresenta senza dubbio uno dei temi più significativi della sua poesia, e nell’erotismo di questo autore all’aspetto olfattivo viene assegnato un ruolo rilevante. Lo ha notato ad esempio Jean-Paul Sartre: «L’odore di un corpo, è quel corpo stesso che noi aspiriamo con la bocca e col naso, che possediamo d’un sol tratto, come la sua sostanza più segreta e, insomma, la sua natura. L’odore in me è la fusione del corpo dell’altro col mio. È sì quel corpo, ma disincarnato, vaporizzato; rimasto, certo, per intero se stesso, ma divenuto spirito volatile. Per questo possesso spiritualizzato, Baudelaire ha una particolare predilezione» [31].
La parte del corpo femminile che il poeta associa più strettamente al profumo è costituita dai capelli. Lo si nota specialmente nelle poesie dedicate alla «Venere nera», ossia Jeanne Duval, la mulatta che si è trovata ad essere al centro della vita amorosa del poeta. Quella donna, che si chiamava in realtà Jeanne Prosper, era nata ad Haiti, ma si era poi trasferita a Parigi, dove aveva recitato come attrice, in ruoli minori, al teatro della Porte-Saint-Antoine. Baudelaire l’ha conosciuta nel 1842 e ha avviato con lei una relazione che a tratti ha assunto la forma della convivenza. Per quanto in seguito i rapporti fra loro siano divenuti difficili, il poeta non ha mai smesso di occuparsi di lei e di aiutarla economicamente. La bellezza di Jeanne è stata immortalata da Baudelaire in vari disegni e da Nadar in una fotografia [32].
A proposito dei capelli dell’amata, la poesia più rappresentativa è senz’altro La Chevelure, che occorre rileggere almeno in parte: «Oh vello spumeggiante fin sul collo! / Oh riccioli! Oh profumo carico di indolenza! / Estasi! Affinché stasera la buia alcova s’affolli / dei ricordi che dormono dentro questa chioma / voglio agitarla come un fazzoletto al vento! // La languida Asia e la bruciante Africa, / tutto un mondo lontano, quasi defunto, assente, / vive nel tuo segreto, o foresta aromatica! / Come altri spiriti navigano sulla musica, / sul tuo profumo, amore, il mio spirito nuota. // […] Capelli turchini, vessillo di tenebre spiegate, / mi restituite l’azzurro del cielo immenso e tondo; / sugli orli morbidi delle vostre ciocche ricurve / m’inebrio ardentemente dei sentori confusi / dell’olio di cocco, del catrame e del muschio» [33]. Questo componimento trova il suo corrispettivo nel poème en prose che reca il titolo Un hémisphère dans une chevelure [34]. Anche qui il poeta ammette di respirare a lungo l’odore dei capelli della donna e ribadisce la potenza che esso esercita su di lui, ricorrendo alla medesima formula: «La mia anima viaggia sul profumo come l’anima degli altri uomini sulla musica» [35]. L’aroma lo porta lontano, in quei paesi esotici che gli sono cari: «I tuoi capelli racchiudono tutto un sogno, pieno di vele e alberature; contengono vasti mari, i monsoni mi conducono verso climi incantevoli, dove lo spazio è più azzurro e profondo, dove l’aria reca il profumo dei frutti, delle foglie e della pelle umana» [36]. Ma ora non gli basta più affondare il capo nella chioma dell’amata: «Lasciami mordere a lungo le tue trecce pesanti e nere. Quando mordicchio i tuoi capelli elastici e ribelli, mi sembra di mangiare dei ricordi» [37]. A questo proposito, Proust ha osservato che in Baudelaire, più ancora che in altri autori, come Chateaubriand o Nerval, simili reminiscenze sono decisive: «È il poeta stesso che, con maggiore scelta e abbandono, cerca volontariamente, nell’odore di una donna, per esempio, della sua chioma e del suo seno, le analogie ispiratrici che gli rievocheranno “l’azzurro del cielo immenso e tondo” e “un porto affollato di vele e alberature”» [38].
Ma al di là dei capelli, è il corpo intero della donna ad essere aromatico, come si può vedere in varie poesie, siano esse dedicate a Jeanne o ad altre amanti: «Bizzarra deità, bruna come le notti, / dal profumo commisto di muschio e d’avana»; «dai piedi fino alla testa, un’aria sottile, un minaccioso profumo, / circolano attorno al suo corpo bruno»; «un profumo galleggia attorno al tuo seno nudo»; «sulla tua carne circola il profumo / come intorno a un incensiere»; «sacchetto sempre fresco che profuma / l’intimità di un angolo amato, / incensiere dimenticato / che di notte in segreto fuma, // come, amore incorruttibile, esprimerti con verità? / granello di muschio invisibile / riposto in fondo alla mia eternità!» [39]. A seconda dei momenti, l’attrazione suscitata dal profumo femminile induce nel poeta uno stato di eccitazione sensuale o di beato languore, e in ogni caso rappresenta per lui un aspetto essenziale nel rapporto con le donne.
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Fin qui si sono evidenziati unicamente gli aspetti positivi del profumo. Tuttavia quelle di Baudelaire sono, metaforicamente parlando, «narici aperte a tutto», dunque non soltanto agli aromi fragranti [40]. Non ci interessa qui repertoriare i passi dei suoi scritti in cui si allude ad odori sgradevoli, passi che culminano probabilmente nel riferimento al fetore che emana dal cadavere di un animale nella poesia Une charogne, un puzzo così forte da far quasi svenire il personaggio femminile che si trova esposto a esso [41]. Più stimolanti sembrano invece i testi in cui l’odore a cui si fa riferimento risulta nel contempo piacevole e fastidioso, oppure assume prima l’una e poi l’altra caratteristica.
Pensiamo al titolo stesso dell’opera principale dell’autore, Les Fleurs du Mal [42]. Se l’immagine dei fiori suggerisce di per sé l’idea del profumo, la cosa si complica quando ad essere in causa sono fleurs maladives, ossia «fiori malsani», come si legge nella dedica a Théophile Gautier che figura in apertura del volume [43]. Ad essere in causa non sono dunque piante innocue e dai dolci profumi, bensì un’immagine traslata dei vizi e peccati dell’uomo. Del resto Baudelaire ha parlato anche altrove di «fiori lugubri e civettuoli, tristi e ricchi ad un tempo» [44]. Già i primi commentatori del libro nell’edizione del 1857, anche quelli bene intenzionati, avevano collegato il titolo all’idea di profumi forse attraenti ma funesti [45]. Tale idea verrà ripresa, durante il processo che porterà alla condanna giudiziaria del volume, nell’arringa del pubblico ministero, Ernest Pinard, che abilmente osserverà: «La prima obiezione che mi verrà fatta sarà questa: “Il libro è triste, già il titolo dice che l’autore ha voluto dipingere il male e le sue ingannevoli carezze per preservarci da esso. Non si chiama forse Les Fleurs du Mal? Dunque, vedete in esso un insegnamento invece di vedervi un’offesa”. Un insegnamento! Si fa presto a dirlo, ma in questo caso non è la verità. Si crede forse che certi fiori dal profumo vertiginoso siano buoni da respirare? Il veleno che portano con sé non allontana da essi, ma sale alla testa, inebria i nervi, suscita turbamento, vertigine, e può anche uccidere» [46]. Ecco come un titolo eccellente, per un libro che lo è altrettanto, può ritorcersi contro il poeta che l’ha adottato.
Altri esempi di profumi complessi o contraddittori ci vengono forniti dagli scritti sulla droga. Baudelaire è stato, da giovane, un saltuario consumatore di hashish. Ha fatto quest’esperienza negli anni compresi fra il 1843 e il 1845, quando risiedeva nell’antico palazzo parigino chiamato hôtel Pimodan. Proprio in quel luogo, e più precisamente nell’appartamento del pittore e musicista Fernand Boissard, si tenevano le sedute del cosiddetto Club des hachichins [47]. Le riunioni del gruppo (che oltre a Baudelaire comprendeva altri tre grandi scrittori, Nerval, Balzac e Gautier) erano presiedute da un medico piuttosto singolare, il dottor Jacques-Joseph Moreau de Tours, autore di un libro sui rapporti tra droga e follia [48]. L’appartamento era di per sé suggestivo, in quanto comprendeva un salotto «dalle boiseries abbellite d’oro smorto, ma di un tono ammirevole, dalla cornice sporgente, dove qualche allievo di Lesueur o di Poussin, che aveva lavorato all’hôtel Lambert, dipinse delle ninfe inseguite da satiri in mezzo ai canneti, secondo il gusto mitologico dell’epoca. Sul vasto caminetto di marmo […], screziato di bianco e di rosso, si drizzava, a mo’ di pendola, un elefante dorato […], che reggeva sul dorso una torre guerriera, nella quale era inserito un quadrante smaltato e con le cifre azzurre. Le poltrone e i divani erano antichi e ricoperti con arazzi dai colori invecchiati, che rappresentavano soggetti di caccia» [49].
In questo ambiente, nel contempo lussuoso e démodé, gli appartenenti al club assumevano l’hashish non fumandolo, bensì in una forma più concentrata ed efficace, quella del dawamesk, il quale «non è altro che un decotto di cannabis indica mescolato a un corpo grasso, a miele, a pistacchi, per dargli la consistenza di una pasta o di una marmellata» [50]. E già a questo punto entra in scena l’olfatto: «Ecco una confettura verde, singolarmente odorosa, talmente odorosa che suscita una certa repulsione, come farebbe del resto qualsiasi odore sottile portato al suo massimo di forza e, per così dire, di densità» [51]. Si tratta dunque di un profumo che di per sé sarebbe gradevole, ma che, a causa della sua stessa potenza, produce l’effetto contrario.
Quest’idea verrà sviluppata da Baudelaire, parecchi anni dopo, in Les Paradis artificiels. Il poeta spiega che di norma il dawamesk viene assunto «in dosi da 15, 20 e 30 grammi, sia avvolto in un’ostia di pane azzimo sia in una tazza di caffè» [52]. Riformula poi il passo già citato, e lo fa nella maniera seguente: «Ecco la droga sotto i vostri occhi: un po’ di confettura verde, della grandezza di una noce, singolarmente odorosa, al punto da provocare una certa repulsione e delle velleità di nausea, come farebbe del resto ogni odore sottile e persino gradevole portato al massimo della sua forza e, per così dire, della sua densità. Mi si permetta di far notare, per inciso, che questa proposizione può essere rovesciata, e che l’odore più ripugnante, più rivoltante, diverrebbe forse piacevole se fosse ridotto al suo minimo di quantità e di espansione» [53]. A giudizio di Baudelaire, dunque, esiste una scala degli odori, che può essere percorsa scendendo dal profumo più squisito fino al lezzo più insopportabile; nella sua parte mediana, tale scala può far sorgere un’incertezza tra sensazioni piacevoli e spiacevoli. Questa sarà forse un’idea poco scientifica, ma ciò non toglie che possa dirsi poeticamente suggestiva.
Il rapporto tra l’hashish e l’odorato si manifesta anche sul piano degli effetti che l’impiego della droga produce. Nei Paradis artificiels Baudelaire chiarisce come l’hashish potenzi al massimo gli stimoli sensoriali, sia che essi vengano colti dalla vista, dall’udito o dall’odorato. In quest’ultimo caso – osserva Gautier –, divengono comprensibili «le estasi dell’olfatto che vi trasportano in paradisi di profumi dove fiori meravigliosi, oscillando le loro urne come incensieri, vi mandano sentori di aromi, odori senza nome di una sottigliezza penetrante, che richiamano vite anteriori, spiagge balsamiche e lontane e amori primitivi in qualche Tahiti del sogno. Non bisogna cercare molto lontano per trovare nella stanza un vaso di eliotropio o di tuberosa, un sacchetto di cuoio di Spagna o uno scialle di cachemire impregnato di patchouli» [54].
Nello stesso testo, Gautier sostiene che Baudelaire possiede «il dono della corrispondenza […], cioè sa scoprire, per mezzo di un’intuizione segreta, rapporti invisibili ad altri, e sa riavvicinare in tal modo, con analogie inattese che solo il veggente può cogliere, gli oggetti in apparenza più lontani e disparati» [55]. Tale facoltà non fa che accentuarsi sotto l’effetto dell’hashish, grazie al quale, asserisce Baudelaire, «si verificano le trasposizioni di idee più inesplicabili. I suoni hanno un colore, i colori una musica» [56]. I profumi rientrano quindi nel più generale meccanismo sinestetico.
Si è già detto che il poeta non era un assiduo consumatore di hashish. Lo è stato invece di oppio, specialmente nella forma del laudano. Per l’appunto all’oppio è dedicata la seconda parte dei Paradis artificiels, che tuttavia si presenta come un compendio, ricco di citazioni tradotte in francese, dell’opera di Thomas De Quincey Confessions of an English Opium-Eater [57]. È vero che in più punti Baudelaire aggiunge osservazioni personali, ma al tempo stesso rinuncia a scrivere un proprio saggio sull’argomento. Al di là di quest’opera, vari riferimenti all’oppio sono presenti nei suoi scritti, incluse le poesie in versi e in prosa. Pensiamo ad esempio a Le Poison, in cui si legge: «L’oppio ingrandisce ciò che non ha limiti, / prolunga lo sconfinato, / approfondisce il tempo, scava la voluttà, / e di piaceri neri e torvi / riempie l’anima oltre la sua capacità» [58]. I piaceri dell’oppio sono «neri e torvi» perché questa droga provoca assuefazione, danneggia la salute e indebolisce la volontà, ma soprattutto perché crea nella mente di chi la assume un paradiso ingannevole ed effimero.
Certo, «il risultato dell’oppio per i sensi è quello di rivestire l’intera natura di un interesse soprannaturale, che conferisce a ogni oggetto un significato più profondo, più volontario, più dispotico» [59]. Tuttavia, non appena terminato l’effetto dello stupefacente, si ripiomba di colpo nella triviale esistenza concreta. È quanto viene illustrato in La Chambre double [60]. Questo poème en prose mostra appunto come, grazie a una fiala di laudano, anche una stanza misera e polverosa può trasformarsi in un luogo fiabesco: «Una camera che somiglia a una fantasticheria, una camera davvero spirituale, dove l’atmosfera stagnante è leggermente tinta di rosa e di azzurro. L’anima vi fa un bagno di pigrizia, aromatizzato dal rimpianto e dal desiderio. […] Un profumo infinitesimale, squisitamente scelto, mescolato a un lievissimo umidore, nuota in questa atmosfera, ove la mente che sonnecchia viene cullata da sensazioni come di serra calda» [61]. Purtroppo, però, la magia scompare, e con essa anche il delizioso aroma: «Quel profumo di un altro mondo, di cui mi inebriavo con una sensibilità perfezionata, ahimè! viene sostituito da un fetido odore di tabacco misto a non so quale nauseabondo tanfo di muffa» [62].
Ma non per questo l’essere umano smetterà di cercare la maniera per sottrarsi alla tirannia del tempo e dello spazio, appagando così il proprio gusto per l’infinito e potenziando, sia pure illusoriamente, le proprie capacità: «Tale acutezza del pensiero, tale entusiasmo dei sensi e dell’animo, sono apparsi all’uomo, in ogni epoca, come il primo dei beni; per questo, considerando solo la voluttà immediata, e senza darsi pensiero di violare le leggi del suo organismo, egli ha cercato nella scienza fisica, nella farmaceutica, nei più grossolani liquori, nei più raffinati profumi, sotto tutti i climi e in ogni tempo, il mezzo di fuggire, anche solo per qualche ora, dal proprio abitacolo di fango» [63]. Non sorprende dunque che Baudelaire, pur essendo ben cosciente dell’insufficienza di questi e altri metodi – profumo e poesia inclusi – per evadere dalla realtà oppressiva, finisca col consigliare comunque ai propri lettori di farvi ricorso: «Bisogna essere sempre ebbri. […] Per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi; ubriacatevi senza sosta! Di vino, di poesia o di virtù, a piacer vostro» [64].
NOTE:
[1] Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, Kreisleriana, in Pezzi di fantasia alla maniera di Caillot (1814-15), tr. it. in Romanzi e racconti, vol. I, Torino, Einaudi, 1969, p. 44.
[2] C. Baudelaire, Salon de 1846, in Œuvres complètes, Paris, Gallimard, 2024 (= Œ. C.), vol. I, p. 236 (tr. it. Salon del 1846, in Opere, Milano, Mondadori, 1996, p. 1021; si avverte che i passi delle traduzioni italiane cui si rimanda vengono spesso citati con modifiche).
[3] Correspondances, in Les Fleurs du Mal (1861), in Œ. C., vol. II, p. 11 (tr. it. Corrispondenze, in I fiori del male, Milano, Rizzoli, 1980; 2001, p. 81).
[4] R. Calasso, La Folie Baudelaire, Milano, Adelphi, 2008, p. 25.
[5] Victor Hugo (1861), in Réflexions sur quelques-uns de mes contemporains, in Œ. C., vol. II, p. 222 (tr. it. Victor Hugo, in Riflessioni su alcuni dei miei contemporanei, in Opere, cit., pp. 929-930).
[6] C. Baudelaire, lettera ad Alphonse Toussenel del 21 gennaio 1856, in Correspondance, Paris, Gallimard, 1973, vol. I, p. 336 (tr. it. in Il vulcano malato. Lettere 1832-1866, Roma, Fazi, 2007, p. 140).
[7] Victor Hugo, cit., p. 223 (tr. it. p. 930).
[8] Théophile Gautier (1859), in Œ. C., vol. I, pp. 932-933 (tr. it. Théophile Gautier, in Opere, cit., p. 868).
[9] Correspondances, cit., p. 11 (tr. it. p. 81).
[10] Jean-Pierre Richard, Profondeur de Baudelaire, in Poésie et profondeur, Paris, Éditions du Seuil, 1955; 1976, p. 134 (tr. it. Profondità di Baudelaire, in La creazione della forma, Milano, Rizzoli, 1969, p. 314).
[11] Per maggiori informazioni su tutto ciò, si veda Claude Pichois – Jean Ziegler, Charles Baudelaire, Paris, Fayard, 1996; nuova edizione riveduta, ivi, 2005 (= P. Z.), pp. 175-194.
[12] [Note par Baudelaire pour sa biographie] (posteriore al 1860), in Œ. C., vol. I, p. 1032.
[13] Cfr. rispettivamente la missiva ad Armand Fraisse del 12 agosto 1860, in Nouvelles lettres, Paris, Fayard, 2000, p. 31, e quella a Narcisse Ancelle del 13 ottobre 1864, in Correspondance, cit., vol. II, p. 409.
[14] C. Asselineau, Charles Baudelaire. Sa vie et son œuvre, Paris, Lemerre, 1869; poi, con l’aggiunta di Baudelairiana (edito postumo nel 1906), Cognac, Le temps qu’il fait, 1990, p. 30 (tr. it. Vita e opera di Charles Baudelaire, Genova, Il Canneto, 2016, p. 17).
[15] T. Gautier, Charles Baudelaire (1868), in Baudelaire, Bordeaux, Le Castor Astral, 1991, pp. 29 e 41 (tr. it. in Charles Baudelaire, Roma, Castelvecchi, 2017, pp. 39 e 46).
[16] Exposition universelle [de 1855], in Œ. C., vol. I, pp. 544-545 (tr. it. Esposizione universale – 1855 – Belle arti, in Opere, cit., pp. 1159-1160).
[17] La Vie antérieure, in Les Fleurs du Mal, cit., p. 17 (tr. it. La vita anteriore, p. 93).
[18] Déjà!, in Atelier du «Spleen de Paris», in Œ. C., vol. II, pp. 907-908 (tr. it. Già!, in Lo Spleen di Parigi, in Opere, cit., p. 448).
[19] À une dame créole, in Les Fleurs du Mal, cit., p. 59 (tr. it. A una signora creola, p. 181).
[20] Mœsta et errabunda, ivi, p. 60 (tr. it. Mœsta et errabunda, p. 183).
[21] Les Projets, in Atelier du «Spleen de Paris», cit., pp. 884-885 (tr. it. I progetti, p. 424).
[22] Any where out of the world. N’importe où hors du monde, ivi, p. 924 (tr. it. Any where out of the world. Non importa dove, fuori dal mondo, p. 466).
[23] L’Invitation au voyage, ivi, p. 869 (tr. it. L’invito al viaggio, p. 411).
[24] Ivi, p. 870 (tr. it. p. 412). Questo testo non fa che espandere la poesia dallo stesso titolo, nella quale si legge: «Mobili lustrati / dagli anni levigati / adornerebbero la nostra camera; / i più rari fiori / mescolando i loro odori / ai vaghi sentori dell’ambra, / i soffitti sfarzosi / gli specchi profondi / lo splendore orientale, / tutto parlerebbe / all’anima in segreto / la sua dolce lingua natale» (L’Invitation au voyage, in Les Fleurs du Mal, cit., pp. 50-51; tr. it. L’invito al viaggio, p. 163).
[25] Yves Bonnefy, L’exemple de Baudelaire (1999), in Sous le signe de Baudelaire, Paris, Gallimard, 2011, p. 97.
[26] Lorenzo Da Ponte, Don Giovanni, atto I, scena IV, in Memorie – Libretti mozartiani, Milano, Garzanti, 1976, p. 518.
[27] Charles-Augustin Sainte-Beuve, Des prochaines élections à l’Académie (1862), in Nouveaux lundis, vol. I, Paris, Michel Lévy, 1863; il passo viene riportato in Œ. C., vol. II, p. 1293.
[28] Lettera a Sainte-Beuve del 24 gennaio 1862, in Correspondance, cit., vol. II, p. 219 (tr. it. in Il vulcano malato, cit., p. 285).
[29] Fusées (1855-62), in Œ. C., vol. II, p. 359 (tr. it. Razzi, in Opere, cit., p. 1399).
[30] Les Paradis artificiels. Opium et haschisch (1860), in Œ. C., vol. I, pp. 1140-1141 (tr. it. I paradisi artificiali, in Opere, cit., pp. 661-662).
[31] J.-P. Sartre, Baudelaire, Paris, Gallimard, 1947; 1988, p. 161 (tr. it. Baudelaire, Milano, Mondadori, 1989, p. 142).
[32] Sull’incontro con Jeanne e sui disegni, cfr. Stéphane Guégan, Album Charles Baudelaire, Paris, Gallimard, 2024 (= Album), pp. 52-55, 120, nonché P. Z., pp. 231-232. La fotografia è riprodotta (con l’imprecisa didascalia «ritratto di giovane modella») in Nadar, L’arte del ritratto, tr. it. Milano, Abscondita, 2010; 2016, tavola 34, p. 97.
[33] La Chevelure, in Les Fleurs du Mal, cit., pp. 25-26 (tr. it. La chioma, pp. 109-111). Motivi analoghi compaiono ad esempio nelle poesie Le Serpent qui danse: «Sulla tua chioma profonda, dagli acri profumi, / mare odorante e vagabondo. / dai flutti azzurri e bruni, // come una nave che si sveglia / al vento del mattino, / l’anima sognante alza le vele / verso un cielo lontano» (ivi, p. 28; tr. it. Il serpente che danza, p. 117), Une nuit que j’étais près d’une affreuse Juive: «I suoi capelli le fanno un casco profumato, / il cui ricordo all’amore mi ravviva» (ivi, p. 32; tr. it. Una notte che ero accanto a una tremenda ebrea, p. 125) e Le Parfum: «Dai suoi capelli elastici e pesanti, d’aromi / vivo sacchetto, incensiere dell’alcova, / un sentore, selvaggio e ferino, si levava» (ivi, p. 37; tr. it. Il profumo, p. 135).
[34] Un hémisphère dans une chevelure, in Atelier du «Spleen de Paris», cit., p. 866 (tr. it. Un emisfero in una chioma, pp. 410-411).
[35] Ibidem (tr. it. p. 410).
[36] Ibidem.
[37] Ibidem (tr. it. p. 411).
[38] Marcel Proust, Le Temps retrouvé, in À la recherche du temps perdu, Paris, Gallimard, 1999, p. 2303 (tr. it. Il tempo ritrovato, in Alla ricerca del tempo perduto, Torino, Einaudi, 2008, p. 2233). Le due espressioni citate da Proust provengono rispettivamente da La Chevelure, cit., p. 25 (tr. it. p. 111) e da Parfum exotique, in Les Fleurs du Mal, cit., p. 24 (tr. it. Profumo esotico, p. 109).
[39] Le citazioni sono tratte da Sed non satiata, in Les Fleurs du Mal, cit., p. 27 (tr. it. Sed non satiata, p. 115), Le Chat, ivi, p. 34 (tr. it. Il gatto, p. 129), Causerie, ivi, p. 53 (tr. it. Conversazione, p. 169), Chanson d’après-midi, ivi, p. 56 (tr. it. Canzone di pomeriggio, p. 175) e Hymne, in Les Épaves (1866), in Œ. C., vol. II, p. 804 (tr. it. Inno, in I relitti, in appendice a I fiori del male, cit., p. 367).
[40] Scrive appunto Jules Laforgue: «Né gran cuore né gran spirito – ma che nervi queruli, che narici aperte a tutto, che voce magica» (Baudelaire, appunti editi postumi nel 1891, in Voix magiques, Saint-Clément-de-Rivière, Fata Morgana, 1992, p. 35; tr. it. Note su Baudelaire, Torino, Aragno, 2022, p. 17).
[41] Cfr. Une charogne, in Les Fleurs du Mal, cit., pp. 29-31 (tr. it. Una carogna, pp. 119-121).
[42] È noto che l’azzeccata espressione gli è stata suggerita da un amico, come testimonia Charles Asselineau: «Colui che diede il titolo definitivo, Fleurs du Mal, fu Hippolyte Babou, me lo ricordo benissimo, una sera al caffè Lemblin, dopo una lunga indagine in proposito» (op. cit., p. 117; tr. it. p. 94). La formula è stata inizialmente usata dal poeta per designare un gruppo di diciotto componimenti pubblicati nella «Revue des Deux Mondes» nel giugno 1855 (cfr. Œ. C., vol. I, pp. 567-585).
[43] Cfr. Les Fleurs du Mal, cit., p. 3 (tr. it. p. 65). Conviene notare che Baudelaire ha potuto trovare la stessa espressione, usata al singolare, in un romanzo a lui ben noto dello stesso Gautier, nel quale a un certo punto si parla, in un contesto metaforico, di «fiore intristito e malsano» (fleur étiolée et maladive); cfr. T. Gautier, Mademoiselle de Maupin (1835; nuova edizione riveduta 1845), Paris, Gallimard, 1973, p. 267 (tr. it. Mademoiselle de Maupin, Milano, Rizzoli, 1995, p. 267).
[44] Les Paradis artificiels, cit, p. 1144 (tr. it. p. 666).
[45] Nelle recensioni di Édouard Thierry e di Jules-Amédée Barbey d’Aurevilly riprodotte in Œ. C., vol. I, si vedano in particolare le pp. 770-771 e 775-776.
[46] Réquisitoire d’Ernest Pinard (1857), ivi, p. 798.
[47] È il titolo di un racconto di Gautier, in cui l’autore riferisce sulle proprie esperienze in quell’ambito: cfr. Le Club des hachichins (1846), in Récits fantastiques, Paris, Flammarion, 1981; 2007, pp. 209-234 (tr. it. Il club dei mangiatori di hashish, in Racconti fantastici, Milano, Garzanti, 1993, pp. 127-147).
[48] J.-J. Moreau de Tours, Du hachisch et de l’aliénation mentale. Études psychologiques, Paris, Fortin, Masson et Cie, 1845.
[49] T. Gautier, Charles Baudelaire, cit., p. 31 (tr. it. pp. 40-41; una foto ottocentesca di questo interno è riprodotta in Album, p. 57).
[50] Ivi, p. 100 (tr. it. p. 80).
[51] Du vin et du haschisch comparés comme moyens de multiplication de l’individualité, in Œ. C., vol. I, p. 413 (tr. it. Del vino e dell’hashish comparati come mezzi per la moltiplicazione dell’individualità, in Opere, cit., p. 536).
[52] Les Paradis artificiels, cit., p. 1052 (tr. it. p. 555).
[53] Ivi, p. 1055 (tr. it. pp. 558-559).
[54] T. Gautier, Charles Baudelaire, cit., p. 102 (tr. it. pp. 81-82).
[55] Ivi, p. 63 (tr. it. p. 59).
[56] Du vin et du haschisch, cit., p. 417 (tr. it. p. 540).
[57] La prima edizione del libro di De Quincey è del 1821, mentre la seconda, ampliata, del 1856 (tr. it. Confessioni di un oppiomane, Torino, Einaudi, 1973).
[58] Le Poison, in Les Fleurs du Mal, cit., p. 46 (tr. it. Il veleno, p. 153).
[59] Exposition universelle [de 1855], cit., p. 555 (tr. it., p. 1183).
[60] La Chambre double, in Atelier du «Spleen de Paris», cit., pp. 847-849 (tr. it. La camera doppia, pp. 390-392).
[61] Ivi, p. 847 (tr. it. p. 390).
[62] Ivi, 848 (tr. it. p. 391).
[63] Les Paradis artificiels, cit., p. 1048 (tr. it. pp. 550-551).
[64] Enivrez-vous, in Atelier du «Spleen de Paris», cit., p. 906 (tr. it. Ubriacatevi, p. 447).