Libri

James C. Scott, Lo sguardo dello Stato, elèuthera 2019

 

[…] Cominciai a rendermi conto che queste semplificazioni statali, fulcro dell’arte di governo moderna, erano molto simili alle riduzioni cartografiche. Non raffiguravano punto per punto l’attività reale della società che illustravano, né era questo il loro scopo: ne rappresentavano soltanto la fetta che interessava all’osservatore ufficiale. Inoltre non erano strumenti neutri. Associate al potere dello Stato, erano mappe capaci di trasformare nel concreto la realtà che illustravano. Così una mappa catastale statale, creata per individuare i titolari di immobili tassabili, non si limita a descrivere un sistema di proprietà fondiaria ma lo crea attraverso la sua facoltà di dare alle proprie categorie la forza di legge. […]

Dall’introduzione

Grazie all’analisi di una storia minuta ricostruita al di fuori dei canoni ufficiali e di una vita quotidiana osservata attraverso il metodo etnografico, Scott propone percorsi di riflessione in grado di mettere in crisi un’autonarrazione dello Stato che rende difficile leggerlo se non nei termini che lo Stato stesso ci mette a disposizione.

Dalla quarta di copertina

L’ottica con cui lo Stato guarda alla società e alla natura è intenzionalmente ultra-semplificatrice perché, per tutto comprendere (e controllare), deve inevitabilmente comprimere la diversità del territorio e della sua popolazione all’interno di griglie standardizzate più facili da gestire. Ricostruire il passaggio epocale che ha portato all’attuale configurazione di potere – tramite l’istituzione di mappe, censimenti, cognomi fissi, elenchi catastali, pesi e misure unificati … – è essenziale per cogliere l’arte di governo moderna, con la sua pretesa di razionalità – sconfessata dai disastri provocati dall’ingegneria sociale ultra-modernista nel ventesimo secolo – e l’invasività dei suoi dispositivi di controllo, sempre più capillari. Queste semplificazioni della natura, della società e persino dell’animo umano sono state fatte a scapito delle pratiche vernacolari, informali e non codificabili, che Scott definisce mētis. Ovvero quelle forme di conoscenza radicate nell’esperienza che proprio per la loro complessità rimangono incompatibili con le esigenze di schematizzazione proprie di qualsiasi ordine sociale pianificato e centralizzato, confermandosi cosi come le forme di resilienza più efficaci per sottrarsi allo sguardo omologatore dello Stato.

Dal risvolto

J. C. Scott, Lo sguardo dello Stato, elèuthera 2019. A cura di Stefano Boni. Traduzione di Elena Cantoni.

Titolo originale: Seeing like a State: How Certain Schemes to Improve the Human Condition Have Failed, © 1990 Yale University.

James C. Scott, docente di Scienze politiche e di Antropologia nell’Università di Yale, ha fatto ricerca sul campo soprattutto nel Sud-est asiatico (non a caso parla anche birmano e indo-malese). Tra i principali esponenti della perestroika accademica che nelle Scienze politiche ha portato a un riequilibrio tra i preponderanti studi di tipo quantitativo e quelli di tipo qualitativo, ha pubblicato numerosi libri, alcuni dei quali tradotti in italiano: Il dominio e l’arte della resistenza, i «verbali segreti» dietro la storia ufficiale (elèuthera, 2006), Elogio dell’anarchismo, saggi sulla disobbedienza, l’insubordinazione e l’autonomia (elèuthera, 2014), e Le origini della civiltà. Una controstoria (Einaudi, 2018). Nel 2005 la rivista «American Anthropologist» gli ha dedicato un numero speciale intitolato Moral Economies, State Spaces, and Categorical Violence. Tra una lezione e l’altra Scott alleva pecore nella sua casa in Connecticut.

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