Paul Valéry, Monsieur Teste, Se 2017
È quanto di me non conosco che fa di me quello che sono.
È quanto vi è in me di maldestro e di incerto che mi rende me stesso.
La mia debolezza, la mia fragilità…
Le lacune sono la mia base di partenza. L’impotenza è la mia origine.
La mia forza nasce da voi. Il mio movimento procede dalla debolezza alla forza.
La mia indigenza reale genera una ricchezza immaginaria; e questa simmetria sono io, sono l’atto che annulla i miei desideri.
Vi è in me una capacità più o meno sperimentata di considerare – persino di dover considerare – i miei gusti le mie repulsioni come puri accidenti.
Se ne sapessi di più, vi vedrei forse una necessità – in luogo del caso. Ma vedere una tale necessità sarebbe già fare una distinzione… Qualunque cosa mi vincoli non sono io.
*
Di cosa ho maggiormente sofferto? Dell’abitudine, forse, di sviluppare ogni mio pensiero – di andare a fondo in me stesso.
Da Estratti dal diario di bordo di Monsieur Teste
L’ascendenza cristiana di Teste non ha bisogno di essere provata. Valéry stesso si riferisce più volte al suo eroe come al «mio cogito» […]. L’operazione di Valéry è, però, ben più che una semplice ripresa dell’esperienza cartesiana del cogito. La ripresa che egli attua è, infatti, nello stesso tempo, una decostruzione, in virtù della quale ciò che era un principio e un fondamento diventa una finzione teatrale e un limite impossibile. Più volte Valéry insiste sull’aspetto funzionale e operazionale del suo «ego» contro ogni rischio di sostanzializzazione. Ciò che egli cerca – leggiamo in un passo che documenta la nascita stessa del sistema di Valéry – è «spingere all’estremo la funzione dell’Io, e non la sua personalizzazione» […]. È allora evidente che il suo «ego» – a differenza di quello di Descartes, che si è «lasciato incantare dallo sguardo di Medusa del verbo Essere» – non può aprire alcun varco sull’essere. Al «penso, dunque sono» cartesiano, la testa oracolare che Valéry situa nell’isola immaginaria di Xiphos (che potrebbe ben essere la patria di Teste) oppone il suo: «io non sono; io penso».
Dallo scritto di Giorgio Agamben
P. Valéry, Monsieur Teste, Se 2017. Traduzione di Clarissa Martini. Con uno scritto di Giorgio Agamben.
Paul Valéry. Poeta francese (Sète 1871 – Parigi 1945). Consacrato erede di S. Mallarmé e maestro del simbolismo con La jeune Parque (1917), pubblicò poi diversi titoli, tra cui, Charmes (1922), la sua raccolta più importante. Di padre corso e madre italiana, studiò legge a Montpellier, dove conobbe P. Louÿs, che ospitò sulla rivista La conque alcune sue poesie d’ispirazione simbolista e lo mise in contatto con Gide e Mallarmé. Una crisi violenta, che lo colse nel 1892 mentre si trovava a Genova, lo indusse a immolare i propri ideali estetici a vantaggio di una conoscenza scientifica, e a rinunciare alla creazione poetica. Trasferitosi a Parigi (1894), lavorò al ministero della guerra e frequentò l’ambiente artistico e letterario, stringendo amicizia con Degas e Renoir e divenendo assiduo di Mallarmé. Fu membro dell’Académie française dal 1923 e prof. al Collège de France. Pubblicò prose di tormentata e meditata originalità: Introduction à la méthode de Léonard de Vinci (1894), un’introduzione al proprio metodo intellettuale; La soirée avec Monsieur Teste (1896); La conquête allemande (1897; poi col tit. Une conquête méthodique, 1924), in cui annunciava l’espansione dell’economia tedesca. Dopo il ritorno alla poesia con La jeune Parque, frutto di una lunga elaborazione, pubblicò Album de vers anciens (1920), Odes (1920) e Charmes, che include tra l’altro Le cimetière marin, e numerosi saggi: i dialoghi Eupalinos ou l’Architecte e L’âme et la danse (1923); le cinque serie di Variété (1924, 1929, 1936, 1938, 1944); Rhumbs (1926); Analecta (1926); Autres rhumbs (1927); Suite (1930); Tel quel (2 voll., 1941-43), un estratto dei Cahiers, che V. tenne dal 1894 alla morte. Postumi sono usciti, oltre a vari volumi di corrispondenza, il saggio Descartes (1960) e la raccolta dei Cahiers (29 voll., 1957-61).