Trasfusioni

Giuseppe Ungaretti, Cineromanzo, a cura di Bruno di Biase

 

CINEROMANZO
a Blaise Cendrars

    

Parigi 

tempo di partire 

di contare il tempo passato 

di dirsi
non restano che ricordi

per ridere abbiamo tutto acceso

c’era da aspettarselo

si è spento come un lampione
alle prime luci del mattino

    II

fiore dall’esile stelo
gracile figlio bianco
che ondeggiavi nel vento
mentre lei si struggeva
che ondeggiavi nel vento

    III

ormai sei esperto
in perfezione di nero

    IV

quando dovevi
spiccare il volo
e il tuo respiro spandeva
gli antilopi gioiosi
i mille occhi redivivi
l’alabastro e la seta
la tua fredda febbre
o notte nuda

    V

era disteso nel suo letto
vestito
la sigaretta caduta
dalla bocca
qualche secondo prima
soltanto il tempo
di dirsi
va’
spenta
proprio spenta ora
era là
posata dolcemente
accanto a un po’ di cenere
qualche goccia di sangue
alla tempia

un filo di sangue
alla bocca

era un re del deserto
non poteva vivere
in Occidente

aveva perduto
i suoi tenimenti
d’un tratto
tornò a casa

sorrideva
a chi voleva vederlo

per trattenere una simile pace nel sorriso
si deve proprio essere un morto

    VI

e mille e mille sfere
ruggiscono
all’improvviso
e l’arida nave
come una colomba s’avvezza
ai gelsomini
dei suoi giardini
portatimi
con la tua avida bocca
da un palombaro

Parigi, 11 marzo 1914

 

 

ROMAN CINÉMA
à Blaise Cendrars

    I

Paris

le temps de partir

le temps de compter le temps passé

de se dire
il ne reste que des souvenirs

on a tout allumé pour rire

il fallait sy attendre

il sest éteint comme un réverbère
à la première lueur du matin

    II

cette fleur à la tige fine
chétif enfant blanc
qui sest balancé au vent
tandis que vous étiez inquiet
qui sest balancé au vent

    III

désormais tu ty connais
en perfection de noir

     IV

quand il te fallait
tenvoler
et ton souffle répandait
les antilopes joyeuses
les mille yeux revenants
lalbâtre et la soie
ta fièvre frileuse
ô nuit nue

    V

il était étendu dans son lit
tout habillé
sa cigarette tombée
de sa bouche
quelques secondes avant
seulement le temps
de se dire
va-ten
éteinte
bien éteinte maintenant
était là
posée doucement
près dun peu de cendre
quelques gouttes de sang
à la tempe

un fil de sang
à la bouche

c’était un roi du désert
il ne pouvait pas vivre
en Occident

il avait perdu
ses domaines

tout à coup
il est rentré chez lui

il souriait
à qui voulait le voir

pour retenir une pareille paix au sourire
il faut bien être un mort

    VI

et mille et mille sphères
rugissent
soudainement
et le navire aride
comme une colombe sapprivoise
aux jasmins
de ses jardins
quun scaphandrier
par ta bouche avide
ma ramenés

Paris le 11 mars 1914


Tra il 1914, anno della prima poesia datata, e il 1919, Ungaretti scrive una serie di poesie in francese.
Queste poesie, che Ungaretti pubblica in una plaquette a Parigi nel 1919 col titolo DERNIERS JOUR, che contiene due sezioni, La Guerre e P-L-M, confluirà in Allegria di naufragi. Queste poesie scompariranno dalle future edizioni fino al Meridiano del 1969, con leccezione della ristampa autonoma del 1947 di Garzanti. Il poeta col tempo maturò un cambio di prospettiva, per cui queste poesie non vennero più ritenute degne di far parte della sua vita di uomo”, non considerando più il francese la sua lingua materna, come aveva avuto modo di affermare in precedenza.
La poesia che qui si presenta in traduzione, Roman Cinéma, dedicata a Blaise Cendrars, fa parte della sezione P-L-M, ed è dedicata alla memoria di Moammed Sceab.
Moammed Sceab, che a Parigi si faceva chiamare «Marcel Sceab», era un amico di vecchia data di Ungaretti. Entrambi avevano frequentato l’École Suisse Jacot ad Alessandria d’Egitto, prestigioso liceo svizzero di lingua francese. Si erano poi trovati a Parigi, dove abitavano insieme in un appartamento di rue des Carmes. A unirli era la passione per la poesia e un sentimento di déracinement. Moammed Sceab morì suicida il 9 settembre 1913, Ungaretti lo ricorderà in numerose occasioni, in particolar modo nella poesia

IN MEMORIA.
Locvizza il 30 settembre 1916.

Si chiamava / Moammed Sceab
Discendente / di emiri di nomadi / suicida / perché non aveva più / Patria / Amò la Francia / e mutò nome
Fu Marcel / ma non era Francese / e non sapeva più / vivere / nella tenda dei suoi / dove si ascolta la cantilena / del Corano / gustando un caffè
E non sapeva / sciogliere / il canto / del suo abbandono
L’ho accompagnato / insieme alla padrona dell’albergo / dove abitavamo / a Parigi / dal numero 5 della rue des Carmes / appassito vicolo in discesa.
Riposa / nel camposanto d’Ivry / sobborgo che pare / sempre / in una giornata / di una / decomposta fiera
E forse io solo / so ancora / che visse 

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