Federico García Lorca, Canción de jinete, a cura di Antonio Devicienti
CANTO DEL CAVALIERE (TORRI DI CORDOVA)
Cordova.
Lontana e sola.
Cavalla nera, grande luna.
E olive nella bisaccia.
Conosco la strada
e mai più giungerò a Cordova.
Pianura e vento –
cavalla nera, rossa luna.
La morte mi scruta
dalle torri di Cordova.
(Morte: camicia nera: braccio teso, levato)
Ah mia valente cavalla
quanto lunga la strada!
La morte mi attende prima di Cordova.
Cordova.
Lontana e sola.
CANCIÓN DE JINETE
Córdoba.
Lejana y sola.
Jaca negra, luna grande,
y aceitunas en mi alforja.
Aunque sepa los caminos
yo nunca llegaré a Córdoba.
Por el llano, por el viento,
jaca negra, luna roja.
La muerte me está mirando
desde las torres de Córdoba.
¡Ay qué camino tan largo!
¡Ay mi jaca valerosa!
¡Ay que la muerte me espera,
antes de llegar a Córdoba!
Córdoba.
Lejana y sola.
(Federico García Lorca in Canciones – 1921/1924)
Probabilmente la traduzione “tradisce” il testo di partenza secondo un noto (e abusatissimo) adagio, ma il mio (voluto e cercato) tradimento interpola nel testo lorchiano un chiaro accenno a coloro che veramente tradirono Lorca uccidendolo come si fa con una bestia di cui non si ha alcuna pietà.
«[…] Allora da dietro il muro sbucarono dei soldati che lo circondarono ridendo. Erano vestiti di bruno e avevano tricorni sulla testa. In una mano tenevano il fucile e nell’altra una bottiglia di vino. Il loro capo era un nano mostruoso, con una testa piena di bitorzoli. Tu sei un traditore, disse il nano, e noi siamo i tuoi carnefici. Federico García Lorca gli sputò in faccia mentre i soldati lo tenevano fermo. Il nano rise in modo osceno e gridò ai soldati che gli togliessero i pantaloni. Tu sei una femmina, disse, e le femmine non devono portare i pantaloni, devono stare rinchiuse nelle stanze di casa e coprirsi il capo con la mantiglia. A un cenno del nano i soldati lo legarono, gli tolsero i pantaloni e gli coprirono il capo con uno scialle. Schifosa femmina che ti vesti da uomo, disse il nano, è giunta l’ora che tu preghi la Santa Vergine. Federico García Lorca gli sputò in faccia e il nano si asciugò ridendo. Poi trasse di tasca la pistola e gli introdusse la canna nella bocca. […] Federico García Lorca sentì un colpo e sobbalzò nel letto. Stavano picchiando alla porta della sua casa di Granada con il calcio dei fucili». Antonio Tabucchi, Sogni di sogni (Sellerio Editore, Palermo 1992, pp. 72 e 73).
Il tema della morte che attende il cavaliere appartiene alla tradizione popolare di tutto il Mediterraneo e quindi a quella andalusa e gitana e ogni volta che rileggo i versi in spagnolo (bellissimi, il testo è un miracolo di perfetta calibratura dei toni e dei ritmi, delle immagini e degli effetti sia sonori che paesistici) non posso non pensare alla presenza di Lorca anche in questi nostri anni bui, né dimenticare il modo in cui è stato ucciso: fu condotto nottetempo a Víznar e fucilato lungo la strada, il corpo non fu mai più ritrovato; nei giorni precedenti quel 19 agosto del 1936 le autorità franchiste avevano promesso la liberazione del poeta se non fossero emersi elementi a suo carico, ma segretamente dettero l’ordine dell’esecuzione.
Mi è sembrato allora che tradire il testo famoso di Lorca fosse un modo per rendergli omaggio, riaffermarne la vitalità della poesia e dell’universo in essa presente, testimoniare che non siamo in pochi a leggerlo e ad amarlo.