Scipione, Carte segrete, Einaudi 1982
Coro d’estate
Io sono la voce dell’albero che cade,
la mia corteccia sarà accarezzata
quando si vedrà che dentro sono bianco.
Le mie radici sono d’avorio e sono
nascoste – la terra fine le ricopre.
Il mio corpo è rotondo,
l’aria sola mi toccava.
Gli uccelli hanno nidificato nei miei rami,
i loro occhi vedevano tutte le mie braccia,
le foglie li nascondevano.
Sotto di me l’uomo si è riposato.
Io sono la voce del fanciullo,
le mie ossa sono tenere e possono cadere
e non si romperanno.
Le mie gambe corrono, i miei piedi
non lasciano impronta.
Il timbro della mia voce somiglia
alla campana del mattino,
al bronzo leggero.
Scipione (Gino Bonichi 1904-33) è noto soprattutto come pittore: la sua breve presenza a Roma alla fine degli anni venti costituisce uno dei momenti più incisivi e intensi di espressione del rinnovarsi della giovane arte figurativa in un momento di fruttuosi scambi fra pittura letteratura e critica. Sotto il titolo di Carte segrete erano stati raccolti, dopo la sua morte, pochi versi, pagine di prosa e di diario, lettere, e fu subito chiaro che quel materiale restituiva schegge liriche di singolare, decisa forza poetica, tali da garantirgli un ruolo non secondario nella poesia italiana del Novecento. Integrato da altri testi, sparsi via via in riviste e libri di scarsa diffusione, quel gruppo di frammenti, qui riproposto, mostra Scipione in qualità di poeta dalla «grande forza panica», come dice Amelia Rosselli, e quale straordinario crogiolo di intenzioni e di ricerche espressive.
Dalla quarta di copertina
Scipione, Carte segrete, Einaudi 1982. Prefazione di Amelia Rosselli. Nota di Paolo Fossati.