Mary Oliver, due poesie da Dream Work, a cura di Stefano Bottero
Ogni mattina
il mondo
è generato.
Sotto le arancioni
stecche del sole
le riverse
ceneri notturne
vertono di nuovo in foglie
e si assicurano ai rami superiori
e appaiono gli stagni
come tessuto scuro
sopra di cui isole sono miniate
di gigli estivi.
Se è la tua indole
essere felice
nuoterai altrove lungo sentieri lievi
per ore, mentre la tua immaginazione
declina ovunque.
E se il tuo spirito
si porta dentro
la spina
che pesa più del piombo—
se è tutto ciò che riesci a fare
per continuare a trascinarti—
esiste ancora
da qualche parte in te nello sprofondo
una bestia che grida che il mondo
è precisamente quello che voleva—
ogni stagno con i suoi roventi gigli
è una preghiera ascoltata ed esaudita
ampiamente,
ogni mattina,
nel caso o meno
tu abbia osato essere felice,
nel caso o meno
tu abbia osato pregare.
Lo spirito
ama vestirsi in questo modo:
dieci dita delle mani,
dieci dita dei piedi,
spalle, e tutto il resto
di notte
tra i rami neri,
di mattina
tra rami blu
del mondo.
Potrebbe galleggiare, certo
ma preferirebbe invece
cruda materia di piombo.
Essere d’aria e senza forma
ha bisogno
della metafora del corpo,
calce e fame,
i fluidi oceanici;
ha bisogno del mondo del corpo.
istinto
e immaginazione
e l’abbraccio buio del tempo,
dolcezza
e tangibilità,
per essere compreso,
per essere più che pura luce
dove nessuno esiste—
e penetra in noi dunque—
di mattina
risplende del sollievo abbrutito
come un rammendo di fulmine;
e di notte
illumina i profondi e magnifici
annegamenti del corpo
come una stella.
Every morning
the world
is created.
Under the orange
sticks of the sun
the heaped
ashes of the night
turn into leaves again
and fasten themselves to the high branches
and the ponds appear
like black cloth
on which are painted islands
of summer lilies.
If it is your nature
to be happy
you will swim away along the soft trails
for hours, your imagination
alighting everywhere.
And if your spirit
carries within it
the thorn
that is heavier than lead—
if it’s all you can do
to keep on trudging—
there is still
somewhere deep within you
a beast shouting that the earth
is exactly what it wanted—
each pond with its blazing lilies
is a prayer heard and answered
lavishly,
every morning,
whether or not
you have ever dared to be happy,
whether or not
you have ever dared to pray.
The spirit
likes to dress up like this:
ten fingers,
ten toes,
shoulders, and all the rest
at night
in the black branches,
in the morning
in the blue branches
of the world.
It could float, of course,
but would rather
plumb rough matter.
Airy and shapeless thing,
it needs
the metaphor of the body,
lime and appetite,
the oceanic fluids;
it needs the body’s world,
instinct
and imagination
and the dark hug of time,
sweetness
and tangibility,
to be understood,
to be more than pure light
that burns
where no one is—
so it enters us—
in the morning
shines from brute comfort
like a stitch of lightning;
and at night
lights up the deep and wondrous
drownings of the body
like a star.
Mary Oliver, poeta e accademica statunitense di chiara fama, nasce nel 1935 e viene a mancare nel 2019. Pubblica la sua prima raccolta No voyage and other poems nel 1963. Nel 1984 vince il Pulitzer Prize per American primitive, nel 1992 il National Book Award per New and selected poems. È stata la compagna della fotografa e gallerista Molly Malone Cook, scomparsa nel 2005, per molti anni. La figura di Oliver è ad oggi carica di un valore iconico, legato a doppio filo alla grande diffusione della sua opera poetica in patria e all’estero.
Dream Work è pubblicata nel 1986 da Atlantic Monthly Press. Nei suoi versi si condensano, come pesi tra le mani di un equilibrista, la percezione immateriale della spiritualità singolare e la complessità del paesaggio fisico, esistente-nel-concreto. Queste due forze contrapposte si rincorrono e si sovrappongono, si capovolgono e si incastrano, nello spazio delle quarantacinque poesie della raccolta – in cui Oliver scandaglia il movimento di un Ego in equilibrio sul filo, precario nell’incedere. Nelle parole del poeta Hyden Carruth, “[le sue poesie] sono meditazione vivace ed espressiva sulle impossibilità di ciò che chiamiamo vite e sulle gratificazioni del cambiare”.