Orizzonte. Di Antonio Devicienti
Questo testo nasce in seguito a una recentissima conversazione telefonica con Domenico Brancale.
Orizzonte
Ti ascolto e imparo: ogni essere umano è un orizzonte. Conclusione: guardare in direzione di ogni essere umano, scoprirvi una vastità e una lontananza (lontananza che non è estraneità, né incomunicabilità, né irraggiungibilità).
Abbiamo cominciato parlando dei nostri paesi del Sud, di quanta nobiltà sia dato leggere ancora nei volti e nei gesti di molti anziani: è da loro che impariamo.
Il movimento parte dallo sguardo: guardare verso un’altra persona e cominciare a scorgervi l’orizzonte.
Ed ecco che, per me, orizzonte si sovrappone a orizzonte: guardavo il mio nonno materno, le sue mani di contadino (esperto coltivatore di vigneti, esperto vinificatore), ex prigioniero di guerra in Germania, guardavo la linea dei vigneti coltivati “a tendone”, poi cominciava l’Adriatico, azzurrissimo e vasto.
Guardavo i lineamenti del mio professore di greco e di latino, tratti di figlio di contadini, mi faceva vedere il bosco di Colono e io pensavo che bisognava imbarcarsi da Otranto per raggiungere la Grecia e così, di nuovo, l’Adriatico si apriva orizzonte della poesia e del viaggio.
Alla persona-orizzonte ci si avvicina con rispetto, passi cadenzati nel lungo tempo dell’avvicinamento (che non abolisce la lontananza, ma la rende ancora più preziosa perché questa lontananza ha il nome dell’attesa e dell’accoglimento).
Ai nostri paesi del Sud ritorniamo senza nostalgie, ma nella presenza di noi a noi stessi, perché sappiamo che noi siamo lì ad attenderci. Non ne siamo mai andati via nel senso che eravamo il nostro paese meridionale già quando ancora non conoscevamo noi stessi e ora che finalmente ci conosciamo ci portiamo dentro un orizzonte solcato di molti cammini, di molteplici andanze.
In copertina: Vincenzo Ciardo, Scorcio con paese sullo sfondo, olio su cartone 1921.