Uno specchio per Christian Boltanski. Di Antonio Devicienti
D’ora in poi guarderò ogni camicia smessa, ogni giacca dal bavero logoro, ogni scarpa deformata dal passo come fossero state tue, tutte indossate mentre curvavi gli steli di metallo per appendervi le campanelline-animitas, mentre preparavi quei tuoi lunghissimi nastri di foto, mentre immaginavi i volti delle persone sottratte alle loro case verso la deportazione.
Sbiadendo il ricordo nel tempo diventa traccia o vago indizio, s’inabissa nel mai-stato. Per questo hai fissato trombe del vento in riva al mare, raccolto su di un’isola i battiti del cuore, accomunato gli umani nella fraternità di uno stesso sentire: venire ad ascoltare cuori pulsare, lasciarvi indizi del proprio. Per questo hai acceso luci pulsanti, specchi neri, aperto passaggi di silenzio, immaginato il canto delle balene.
Non nell’illusione di fermare il tempo, perpetuare il ricordo: hai amato così tanto la vita che sapevi ch’è vita anche il trascorrere, lo svanire, il consumarsi – distanza in inesausto andare.
Una versione in qualche modo “speculare” di questo testo è pubblicata sulla Dimora del tempo sospeso.